Avella (AV)
Il territorio dell'antica Abella si trova nel cuore di una grande conca dell’Appennino Campano. La città è localizzata sulla sinistra del fiume Clanis nel punto in cui il corso d'acqua, dopo aver attraversato la gola montana dei valloni Serroncello e Fontanelle, si immette nel paesaggio collinare che delimita ad est la pianura campana. Il sito è protetto a nord dai Monti di Avella – oltre i quali si estende la Valle Caudina - e controlla un corridoio naturale che dalla piana, risalendo il passo di Monteforte, conduce nella valle del Sabato e nell'entroterra irpino. Inclusa da Strabone (V,4,11) insieme a Suessula, Atella, Nola, Nuceria ed Acerrae tra le città della Campania e ricordata nella tradizione letteraria,piuttosto esigua, soprattutto per la produzione della nux abellana (la cui coltivazione rappresenta ancora oggi la principale attività del territorio). Il centro storico dell’attuale comune di Avella coincide con l’area dell’antica città, della quale ha rispettato l’antica struttura urbana con la suddivisione in isolati regolari. Il sito archeologico era già noto nel 1745, quando l’Abate Remondini scoprì in un palazzo del centro storico il Cippus Abellanus, recante una lunga iscrizione in lingua osca e databile al II secolo a.C.
Il Cippo di Abella
Verso la metà del Settecento, iniziarono anche i primi scavi e i rinvenimenti sporadici di grandi quantità di vasellame di vario tipo. Le ricerche effettuate tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, nel centro storico, chiarirono l’organizzazione urbanistica romana grazie al rinvenimento di resti di edifici ed epigrafi sepolcrali romane murate nel centro storico. Mentre, a partire dal 1970 la Soprintendenza archeologica di Salerno, Avellino e Benevento avviò delle ricerche sistematiche sulle necropoli di Avella. L’abitato copre una superficie di ca. 25-26 ettari ed è definito da fortificazioni, in blocchi quadrati di tufo con fossato antistante in epoca sannitica, in opera incerta nel II sec., periodo al quale si può ricondurre l’impianto urbano per scamna. Le aree di necropoli sono disposte ai lati opposti dell’abitato: la necropoli occidentale in loc. S. Nazzaro, la necropoli orientale in località S. Paolino.
Necropoli orientale di San Paolino Necropoli occidentale di San Nazzaro
Una terza area funeraria si sviluppa, ma soltanto nella prima età imperiale, a sud dell’insediamento, lungo una strada orientata in senso est-ovest.
I due sepolcreti principali, che occupano superfici piuttosto ampie, iniziano ad essere utilizzati contemporaneamente, come testimonia la più antica documentazione databile tra la fine dell'VlIl e gli inizi del VII sec. a.C., epoca in cui l'insediamento risente dell'influenza delle colonie greche presenti sulle coste campane, degli Etruschi e delle popolazioni italiche. Infatti, proprio grazie alla sua posizione, trovandosi allo sbocco si una via naturale che dall'Irpinia penetrava nella piana campana, si ritrovò ad assumere un ruolo di mediazione tra le culture dell'entroterra e quelle della costa.
A testimonianza di ciò, anche la presenza nei corredi di questo periodo, in associazione con il vasellame locale di impasto, di vasi d’importazione, quali oinochoai e kylikes di tipo protocorinzio, e vasi in bucchero.
Confronti molto stringenti per la produzione dell’impasto si possono fare con Caudium, Nola e Calatia e, in parte, con la Valle del Sarno.
L’area funeraria è in uso tra la fine dell’VIII-inizi del VII e il IV sec.:
La distinzione del genere è espressa attraverso la presenza alternativa di armi/utensili/ornamenti.
Ai corredi femminili si associano ornamenti, anelli, bracciali, collane d’ambra, cinture e pendenti; il ruolo della donna, legato alla produzione artigianale di tipo domestico, è sottolineato attraverso la deposizione di utensili per la tessitura (fusaiole, rocchetti e pesi da telaio) secondo un modello che, nelle contemporanee comunità etrusche e italiche, connota le donne di rango.
Corredo Tomba femminile n. 81
Le tombe maschili sono contraddistinte dall’esibizione delle armi, quasi sempre la lancia di ferro, segno ambivalente della funzione guerriera e, probabilmente, del diritto al possesso della terra.
Il costume maschile è sobrio e l’unico ornamento (a parte rari casi) è costituito da una fibula che, se è presente, è del tipo ad arco serpeggiante.
Per il periodo successivo, ovvero il V sec. a.C. si hanno meno informazioni a causa della scarsità delle fonti.
Maggiori testimonianze si hanno con il IV sec. a.C., periodo in cui le tombe si connotano per la presenza di ricchi corredi, con vasi a vernice nera e a figure rosse di scuola attica, importati da Cuma, Paestum e Neapolis, ed altri oggetti tipicamente sannitici. In questo periodo l'area urbana ha un aestensione di circa 25 ettari ed occupa la zona NE dell'attuale paese. Delle mura è rimasta solo la parte orientale ben conservata, appoggiata, per un tratto, allanfiteatro e databile al II sec. d.C.
Un'importante tappa dello sviluppo urbano è da individuare nel periodo post-sillano in correlazione, probabilmente, alla deduzione della colonia.
La città era caduta sotto il controllo romano, verosimilmente, all'indomani della seconda guerra sannitica.
Nel corso delle guerre sociali, Avella rimase fedele a Roma e per questo motivo, nell'87 a.C., fu incendiata dai Sanniti di Nola.
L'intervento più significativo della tarda repubblica è l'edificazione dell'anfiteatro, in un'area precedentemente già occupata da strutture.
L'immagine del monumento compare sul lato di una base sul lato di una base di statua di calcare di età antonina oggi conservata nella piazza antistante il Palazzo Ducale nel centro storico di Avella, in cui coloni et incolae celebrano L. Ignatio Invento per aver organizzato, a sue spese, i ludi gladiatori.
Base calcarea con raffigurazione dell'Anfiteatro
A partire dall'età ellenistica le necropoli urbane assumono uno sviluppo che sembra catalizzarsi lungo gli assi viari che, partendo dalle estremità del decumano massimo, si inoltravano nel territorio, verso Nola e Calatia da un lato e verso l'Irpinia dall'altro.
In epoca tardo-imperiale, le invasioni barbariche che interessarono Avella, ad opera prima di Alarico nel 410 d.C. e poi di Genserico nel 455, indussero i cittadini ad abbandonare il territorio e a rifugiarsi sui monti.
Alla fine del VI secolo, dopo essere stata conquistata dai Longobardi, entrò a far parte del gastaldato di Nola. Nell’847 Avella fu compresa nel principato di Salerno. Quarant’anni dopo, il duca vescovo di Napoli, Attanasio, l’attaccò di sorpresa e se ne impadronì. I danni maggiori furono, però, provocati dall’invasione degli Ungari agli inizi del X secolo che la distrussero quasi completamente.
Solo intorno all’XI secolo, con la conquista da parte dei Normanni di Aversa, si ebbe una ripresa della vita civile.